CONCORSO "FLORESTANO VANCINI"


“Pregherò per Lei”

primo premio nella sezione "narrativa"

di Giulia Grillenzoni 5ªQ coadivata dalla prof.ssa Guerzoni Nicoletta

La proposta progettuale si articola in un racconto originale e inedito che coinvolge, attraverso un intreccio contenutistico organico, due dei temi più cari a Florestano Vancini: la civiltà contadina e il ventennio fascista.

La difficoltà di questa operazione di compenetrazione -che diventa su tre livelli con l’inserimento della traduzione fatta dal regista della vicenda Matteotti- è risolta mediante la creazione congetturale di una grande ipotesi narrativa e storica. Tale ipotesi è caratterizzata da una astrazione storica di per sé fasulla, l’invenzione di un personaggio mai esistito, che si trasforma in una condizione storica altamente verosimile e concettualmente assai attendibile. Quest’ultima dimensione è ottenuta grazie al ritrovamento di una lettera, stesa con un idioma autentico per origine, estrazione sociale, contesto.  Una ulteriore particolarità dell’idea risiede anche nel fatto che i soggetti raccontati diventano i narratori di se medesimi o di altre figure rappresentate, in un gioco di specchi riflettenti e non di “maschere”: sono figure autentiche, sinceramente genuine.

Fin dall’inizio della narrazione c’è un filo che lega Rosina, la protagonista della nostra vicenda, a Matteotti e a Vancini. Essi provengono più o meno dalle stesse zone; conoscono bene la mentalità delle piccole cittadine di provincia; rivendicano tutti la possibilità per ognuno, in particolare per gli umili, del “riscatto” (politico, sociale, culturale). E lo raccontano con modalità e strumenti diversi: con la denuncia, con la speranza di un mondo diverso, probabilmente migliore, con la volontà di farlo. Ma con la medesima voglia di progettualità.

L’espediente ipotetico è servito per far emergere le ragioni che portarono Vancini a scegliere di realizzare un film sul deputato parlamentare e segretario del PSU. Per ciò che concerne la motivazione si è preferito, infatti, andare oltre o addirittura rimuovere la possibile ed eventuale vicinanza ideologica tra l’autore e Matteotti per entrare in una zona neutra, confortevole e non facilmente strumentalizzabile. Una siffatta operazione ha consentito, inoltre, di dare corpo a quella concezione di cinema come ricerca che lo stesso Vancini proponeva. L’apparato di note riveste un ruolo importante: rinforza la trattazione, rendendola coerente, in virtù di un tessuto diacronico e sincronico di avvenimenti e aumenta una  forma di memoria attiva, componente e necessità importante per il regista.

Si è immaginato che Vancini, per uno strano scherzo del destino, di quelli che forse ti cambiano dentro, sia entrato in possesso di una lettera scritta da una donna, Rosina, indirizzata a Giacomo Matteotti. Si è continuato a immaginare che il regista, sull’onda delle emozioni che quel ritrovamento gli ha provocato, avesse pensato da quel momento in poi di realizzare un film sulla storia di Matteotti.

Rosina è una donna di campagna, lontana dal socialismo e saldamente legata alle tradizioni del cattolicesimo contadino, trasferitasi a Roma da Fratta Polesine; degli stessi luoghi è originario Matteotti. E’ un personaggio inventato, ma potrebbe essere una qualunque donna che ha sperimentato la vita di paese o l’era fascista. L’epoca fascista viene raccontata attraverso le parole di Rosina; parole semplici che esprimono forti timori e serie preoccupazioni di un animo impregnato dell’antica saggezza contadina, impaurito dal clima che si respira nella città capitolina degli anni Venti. Gli scarsi strumenti culturali non precludono a Rosina una visione chiara degli eventi. Ella prende pian piano consapevolezza non di se stessa, non è questa la sua aspirazione, ma di ciò che la circonda e interpreta il mondo che le sta vicino preminentemente attraverso la fede e i suoi valori.

La donna trova, per una inaspettata casualità, un foglio contenente alcuni stralci del discorso che Matteotti tenne alla Camera il 30 maggio 1924, durante il quale denunciò le violenze e i brogli commessi dai fascisti nella recente campagna elettorale. Rosina, leggendo le parole di Matteotti, sente l’immediata e umana esigenza di scrivere al suo compaesano: inizialmente è così che identifica Matteotti; poi, nella prosecuzione della lettera, gli verrà riconosciuto il suo ruolo istituzionale.

La donna tuttavia non vive di per sé un risveglio ideologico, né si avvicina alle idee politiche di Matteotti. Al deputato, però, riconosce una cosa: il coraggio, che in lei è rimasto intrappolato per lungo tempo. In maniera quasi catartica riuscirà finalmente a esprimere la sua forza d’animo solo nel momento della lettura delle parole di Matteotti e, infine, della scrittura delle proprie.

La conclusione della lettera di Rosina è estremamente significativa, tanto da diventare anche il titolo del presente lavoro. Il finale racchiude, infatti, il tragico epilogo. Rosina, uscendo dalla sua visione disincantata della vita, ha la capacità di presagire la morte.

Il delitto Matteotti impose una svolta cruciale poiché esso segnò di fatto la nascita di un antifascismo democratico, che trovò nella scelta coraggiosa di Matteotti un modello valido cui ispirare la propria lotta politica. Lo stesso coraggio  che Vancini dimostra, in tempi più lontani,  nel portare sugli schermi il film “Il delitto Matteotti” nel 1973: gli “anni di piombo”.

 

progetto "Pregherò per Lei"